Per camminare abbiamo continuamente bisogno di destabilizzarci e di lasciare gli ormeggi di prima per andare oltre. È questione di fiducia il cammino e per non ridursi ad un girare vorticoso attorno a se stessi è necessario focalizzare una meta. L’esperienza cristiana scaturisce dall’essere stati chiamati alla vita, non in modo casuale, e dal procedere verso la meta che è stata rivelata da Gesù Cristo.
Non è solo una promessa a motivare tale cammino, come se fosse una ricompensa per la rettitudine dei propri comportamenti, ma il desiderio di approfondire la relazione d’amore con il Padre. Al cammino visibile corrisponde un itinerario interiore perchè l’intimità di ciascuno è il vero luogo del cambiamento. Nel tempo della esteriorizzazione a dismisura, in cui l’essere umano pare avere smarrito il senso della propria interiorità, oggi ci viene ricordato la preziosità del “segreto” (Mt 6, 6-18), quello che permette di custodire la propria vita e quella altrui liberi dalla necessità di raccontare tutto per mania di grandezza e, così, ottenere riconoscimenti.
L’uomo contemporaneo non ha più confidenza con il lessico dell’ascolto, del sostare per accogliere l’altro da sé. La rinuncia al tempo per “le mie cose”, la condivisione di parte degli averi o, ancora, l’abbandono del nutrimento per affermare se stessi, è una sfida totalmente disattesa.
È perciò che oggi iniziamo un percorso spirituale che durerà quaranta giorni, contraddistinto da preghiera, elemosina e digiuno: la preghiera rivela che non possiamo bastare a noi stessi; l’elemosina dà spazio all’altro facendo venire meno la logica di appropriazione per essere; e il digiuno viene a restituire autenticità al rapporto tra ciascuno ed il creato.
È di un combattimento che si tratta perchè si oppone al nutrimento compulsivo privo di discernimento. Quando il nutrimento è meramente esteriore, l’individuo si intossica e, in modo allucinatorio, sostiene che il suo valore dipende da quel che può esibire. Il digiuno apre alla mancanza e restiuisce il desiderio per un cibo profondo che invade l’animo. Attraverso l’attesa, a ciascuno è data l’occasione di ascoltare, in profondità, quel che manca ed è allora che matura l’accoglienza della Parola di Dio.
La quaresima, dunque, è tempo in cui lasciarsi visitare dal Cielo, tempo per abbandonare le false battaglie che angustiano il proprio vivere e, così, aprirsi alla lotta che difende la relazione verticale da cui dipendono tutti gli altri rapporti. È tempo per custodire quel che è essenziale per la propria esistenza e, dunque, prendersi cura del rapporto filiale con il Padre.
Comincia col gesto penitenziale dell’imposizione delle ceneri attraverso il quale si riconsoce la propria fragilità e si permette di esprimere il profondo bisogno di eternità che portiamo dentro e che spesso rimane anestetizzato dalle tante fughe che vorrebbero promettere felicità.
In fondo la cenere è ricava dal legno bruciato, da quei rami che prima erano capaci di portare frutto e che poi sono stati potati. La potatura, sebbene incomprensibile a principio, è la condizione essenziale per arrivare a produrre frutti buoni. La vite diventa feconda se ferita da due potature e quel legno, di così poco pregio per altri usi, diventa unico per il passaggio di quel succo che passando per il torchio produrrà il buon vino. Un processo simile accade per il grano che passando per le macine a pietra diventa la farina (non la ’00’) con la quale si fa il pane.
Proprio le specie del pane e del vino ci danno l’Eucarestia, il cibo che nutre la comunione tra il Padre e ogni figlio. È necessario liberarsi del “di più” per vivere questa relazione di intimità, ossia abbandonare quel che passa perchè solo l’amore resta. La cenere è segno eloquente di questo scenario che non ha e non procura vita, così come il proprio corpo che se vissuto fine a se stesso rimarrà cenere.
L’integrazione liturgica, durante l’imposizione delle ceneri, dell’espressione “Ricordati che sei polvere e in polvere ritornerai” con il “Convertitevi e credete al vangelo!”, ci aiuta allora a comprendere il senso di questo itinerario. Non è sufficiente ricordarsi della propria pochezza e della precarietà di ogni cosa, ma è necessario riorientarsi per accogliere il miracolo dell’amore, quello che sperimenta chi poggia la propria vita totalmente in Dio.
Lasciamo gli ormeggi dunque e apriamo le vele accogliendo il Signore della storia che si china fino a donare pienamente se stesso a ciascuno di noi.