La nostra, viene considerata una società senza padri perchè priva di limiti. È venuto meno il ruolo di confine nei confronti dei piccoli e il “no” è stato equiparato ad una grave ingiustizia nei loro confronti. Ciò ha fatto perdere di autorevolezza ogni istituzione come ad esempio la famiglia o la scuola e ha esposto le nuove generazioni a sempre nuove dipendenze.
Sappiamo bene come il mercato dei consumi abbia caldeggiato questa propensione e lo spostamento del senso del Natale al “regalo” inedito da fare o ricevere, è solo uno dei sintomi di questa grave emoraggia. Un vuoto inappagabile che genera sempre più solitudine e noia esistenziale.
A nostro avviso, però, tale crisi ha un’origine ben più profonda ed è data dalla perdita di relazione con Dio Padre dal quale prende senso ogni possibile paternità e rapporto con l’altro. Senza la relazione con il Padre che è nei cieli la legge tra gli uomini diventa giustizialismo e i rappporti tra le persone vengono misurati in termini di tolleranza o di interesse.
È ben altra la proposta che ci viene fatta in questa giornata, festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe. La pagina del Siracide (3, 3-17) restituisce verità al rapporto con i propri genitori che potrebbero divenire oggetto di dispregio quando i figli vivono nel “pieno del vigore”. L’impazienza per i difetti altrui è conseguenza di frainteso che il verbo ebraico “onorare” intende chiarificare restituendo possibilità di guarigione interiore.
“Onorare” nel senso biblico fa riferimento al riconoscere il vero valore dell’altro che altrimenti verrebbe idealizzato o svalutato in base ai propri criteri di perfezione. L’altro ha valore non perchè perfetto ma per quello che è, e non per quello che dovrebbe essere. Il suo valore, inoltre, è dato dal fatto che è amato da Dio.
Riconciliarsi con il limite altrui, dunque, è possibile quando si riconosce in Dio la paternità della vita e del senso delle cose. È una riscoperta della propria esistenza e del continuo dono che Lui fa di sé amandoci nonostante tutto.
La pagina evangelica (Mt 2, 13-23), diversamente, ci mostra l’atteggiamento di chi pacificato non è. Il re Erode si crede in dovere di mostrare l’indiscussa sua autorità in modo autoritario. Questa pretesa lo porta, addirittura, a sentirsi adombrato dalla nascita di una bambino in una mangiatoia, ed è pertanto che troviamo due regalità che si oppongono, due modi ben diversi di percepirsi forti: la dignità dell’uomo e la scelleratezza del superbo!
L’uomo bramoso di potere e di affermazione di sé oltre ogni possibile limite, nutre l’inimicizia e ha paura che qualcuno possa sottrargli il ruolo sociale prendendo il suo posto. Erode non appena sente parlare del Re Messia reagisce tramando di ucciderlo, ha una reazione talmente forte da non tollerare la minima possibilità di un rivale. Comanda una strage di innocenti per questa visione delirante.
Giuseppe e Maria custodiscono il dono del Padre, la loro è una relazione di amicizia con il Cielo e pertanto rimangono in ascolto lasciandosi guidare. Giuseppe rinuncia ai suoi sogni accogliendo il sogni rivelati da Dio, riconosce che è Lui a guidare la storia e non le ambizioni personali. Si troverà a fare scelte frutto dell’ascolto e a rifugiarsi prima in Egitto e poi a Nazaret.
La presenza di Dio non è più attribuita ad un luogo dove Lui vuole abitare, non è più la terra promessa lo spazio in cui trovare di Dio. Ma è la famiglia di Maria e Giuseppe a custodire la Sua presenza: prima in Egitto nel luogo che un tempo aveva significato la schiavitù e poi a Nazaret di Galilea, nella terra dei pagani e in un villaggio misconosciuto.
Oggi la Comunità di Danisinni si sente molto vicina alla Santa famiglia. Anche noi in un contesto molto simile ad un villaggio nascosto, periferia della Città, abbiamo avuto il dono di celebrare Eucarestia nel tendone in fattoria. La nostra Comunità ha lasciato la chiesa di mura per fare spazio ed accogliere nella tenda in fattoria i fratelli della Comunità Ghanese che hanno animato la liturgia. Abbiamo percepito come Dio si è “attendato” in mezzo a noi così come nella storia ha sempre fatto con i piccoli e ci ha ricordato l’essenziale che permette di custodire la Sua presenza.
Al termine della liturgia insiema ai Confrati e a tutto il popolo con canti di festa siamo ritornati nella nostra chiesa dove abbiamo riposto l’effige della Sacra famiglia uniti ai cori ghanesi, e ci siamo ricordati che Dio è il Padre che ci ha accolti nella sua famiglia e noi rimarremo suo popolo se saremo capaci di accoglienza nel cammino della nostra vita.