Perchè Gesù rimanda alla porta stretta da cui è necessario passare per non rimanere fuori? Siamo nella pagina del vangelo di Luca (13, 22-30) e questa domenica il tema in questione è la salvezza, ma la domanda che viene posta è sulla quantità e cioè su quanti avranno meriti per ottonere il premio eterno. Gesù, invece, riporta l’attenzione sulla qualità dell’esistenza e, dunque, sul come arrivare alla meta attraverso una relazione.
Il cammino verso il Cielo non è lastricato di dottrine da imparare o di buone azioni da compiere ma è retto come da una corda, la fede di ciascuno, che permette di vivere la relazione con il Maestro, l’unico che può suggerire la strada da percorrere fino a farci scoprire che Lui stesso si è fatto strada per amore nostro. La Via è Cristo, dunque, e percorrerla equivale ad approfondire l’amicizia e la relazione con Lui.
Gesù invita i suoi discepoli a sforzarsi di entrare per la porta stretta, così come prima aveva indicato loro di rinunciare a se stessi, prendere la propria croce e seguirlo.
C’è un attaccamento a sé che può rivelarsi gravemente ingobrante, è l’amore narcisistico che fa della propria esistenza un privarsi della cosa più importante e cioè della relazione con l’altro. Quanti organizzano i propri giorni in questo modo cadono nell’uso strumentale del prossimo, mercificato in base ai propri criteri di convenienza.
La vita personale, piuttosto, è comprensibile solo in chiave vocazionale: Per vivere è necessario sbilanciarsi verso un altro, non nel senso della dipendenza ma della gratificazione autentica che scaturisce dall’amare. Ognuno è fatto per amare ed è perciò che Gesù invita a rinnegarsi per poterlo seguire.
Aggiunge, inoltre, di prendere ogni giorno la propria croce cioè quella quotidianità concreta che, seppure con il suo carico, apre al gusto della vita. Senza quotidianità non c’è amore, senza travaglio non c’è profondità ma solo “like” emotivi che non scomodano affatto il quieto vivere. Il rimanere spettatori della vita, senza alcun coinvolgimento che procuri insonnia, fa del sentimento una finzione scenica che compromettere solo apparentemente.
Dio non potrà mai incontrare l’uomo spettatore, in quanto Lui si rivela visitando l’umanità lungo il cammino concreto di ogni giorno. Caricarsi ogni giorno la propria croce, anzicchè fuggire o anestetizzare la realtà, comporta un approfondire il proprio rapporto con il Cielo, ed è proprio attraverso questa luce che ciascuno può illuminare la realtà che si trova a vivere.
Seguire il Signore è possibile solo quando si comprende che ciascuno non è la risposta alla propria esistenza. Spesso la preghiera personale si riduce ad un pretendere di piegare Dio alla propria volontà e quando Lui non realizza quello che si è appena chiesto allora si abbandona la strada con risentimento ed ostilità.
Gesù dirà di sé che è Lui la porta che ci conduce al Cielo ma, questa, rimane stretta proprio perchè Lui si è fatto povero per incontarci. Di conseguenza è necessario che l’umanità abbandoni le tante certezze che la fanno ricca di sé! Non si passa per la porta da opulenti ma da miseri e, proprio per questo, attraversati dalla misericordia.
Comprendiamo, allora, quando papa Francesco afferma che il cristianesimo non è questione di volontarismo, come una sorta di neopelagianesimo dove ciascuno pensa di salvarsi attraverso i propri sforzi. E non è neppure frutto di indottrinamento come se il sapere ci garantisse il posto in paradiso. Eppure troviamo molti cristiani da salotto, abili nelle conversazioni ma riluttanti a lasciarsi contaminare dai più piccoli, come se il contagio costituisse una minaccia o una perdita.
La passione, invece, abbisogna di consumarsi e non è possibile conservare la propria vita perchè altrimenti la si perderà. Cristo è venuto a portare il fuoco su questa terra e, dunque, a scardinare ogni compromesso. Si pensi all’oro che solo se forgiato nel fuoco può emergere in tutta la sua autenticità e bellezza. Lo stesso vale per l’esistenza personale che senza travaglio rischierebbe di non venire fuori mancando, così, alla chiamata di Dio.
Tanti accettano la corruzione venendo meno all’onestà del proprio quotidiano perchè pensano, in questo modo, di garantirsi le comodità ed i favori della vita. Quante amicizie interessate per proteggersi a discapito di qualche altro.
È la logica mafiosa, del politico o dell’impiegato corrotto, così come quella del massone o del potente che sa di contare sui propri legami e che, pertanto, rinuncia alla fede in Dio.
Gesù non accetta “primi” o “tiepidi”, la lampada non può rimanere nascosta e il sale senza portare sapore non serve più a nulla. Per effondere luce, invece, la lampada deve consumare il suo olio, allo stesso modo il sale ed il lievito devono disperdersi nella massa per renderla feconda ed esprimere, così, la propria vocazione.
C’è un rischio insito nella vita e per amare bisogna muovere il primo passo, ma non si tratta di calcolo in quanto potrebbe non esserci un immediato ritorno. Quel che conta è consumare il talento ricevuto, del resto come si dice a Danisinni: “Megghiu riri chi sacciu ca chi sapia”!