di Francesco Inguanti per sicilypresent.it – Sono appena le 9,30 di una mattina d’inizio di agosto. La grande piazza circondata dalle case della parrocchia di Santa Agrese, per tutti “Danisinni”, è stranamente vuota e silenziosa. Il grande caldo ha dissuaso bambini, ragazzi, giovani, adulti ed anziani a stare fuori. La zona sembra più che deserta abbandonata. L’appuntamento è nella sede della Caritas parrocchiale, posta difronte all’ingresso della chiesa. Ed ecco che sembra che tutti gli abitanti del quartiere si siano ritrovati lì. C’è un grande via vai di persone che escono sempre con un sacchetto di alimenti in mano, e un buon numero di volontari che cerca di esaudire ogni richiesta. Su tutti poi vigila la figura ieratica del parroco, Fra Mauro.
L’appuntamento è con Guido Ridolfo, responsabile della Caritas parrocchiale, il contenuto dell’intervista: la carità va in vacanza in questa parrocchia? Guido non è solo, in tanti gli sono intorno sia per prestare la loro opera assistenziale, sia per aggiungere vicende e fatti alla sua narrazione. Prima di poter fare alcune domande chiede di raccontare la sua storia a Danisinni.
Quando ho iniziato a svolgere attività di volontariato in questa parrocchia circa 15 anni fa c’era solo il servizio settimanale della distribuzione del sacchetto della spesa con le derrate provenienti dal Banco Alimentare. Ma ben presto grazie al coinvolgimento di altre persone della parrocchia si è avvertita l’esigenza di costituire un gruppo Caritas, più strutturato e più stabile, nelle persone e nei servizi.
E cosa è cambiato?
Per prima cosa ho iniziato a frequentare alcuni corsi predisposti ad hoc dalla Caritas diocesana e dopo di me anche alcune signore della parrocchia. In tal modo il gruppo si è allargato e adesso vi sono compiti e responsabilità definite ed anche l’attività è ben più ampia di quella iniziale. Con una battuta potremmo dire: meno sacchetti anonimi e più incontri personali con i parrocchiani.
E come sono questi rapporti?
Le modeste dimensioni della parrocchia consentono adesso di avere rapporti più seri e profondi con tante famiglie, rapporti nati magari entro questa stanza, ma che si sono via via allargati alle strade del quartiere e alle loro case, con i loro familiari e soprattutto con i loro bambini.
Ma il vostro lavoro in queste stanze come è organizzato?
In teoria l’apertura della Caritas parrocchiale è il martedì e il giovedì dalle 16 alle 18. Ma in pratica, come vedete anche in questo momento, non c’è orario. Le persone vengono quando hanno bisogno e se trovano chiuso tramite i telefoni raggiungono sempre qualcuno che viene ad aprire.
Ma fate tutto questo lavoro con le sole energie disponibili in parrocchia?
Con l’aumento delle risposte ai bisogni abbiamo incrementato anche i rapporti con la Caritas diocesana, che ci viene incontro quando abbiamo bisogno, e poi abbiamo altri punti di appoggio.
E cioè come funziona?
Tutto inizia con l’incontro con le persone nel Centro di Ascolto. È il punto nevralgico della nostra attività. Lavoro molto delicato e con grandi responsabilità, perché bisogna sia saper ascoltare che saper capire. Dopo di che si passa agli interventi più concreti sul territorio.
Che sono?
Per i bisogni di farmaci ci appoggiamo a Villa Nave e alla rete del Banco farmaceutico. Per quelli sanitari abbiamo al piano di sopra un piccolo ambulatorio in cui vari specialisti a turno gratuitamente assistono quanti hanno problemi sanitari. C’è pure uno di noi che si dedica esclusivamente ad accompagnare quanti devono fare visite specialistiche negli ospedali della città. E poi abbiamo degli avvocati che prestano gratuitamente la loro opera, per i tanti casi che spesso si presentano.
Ci parli del rapporto con le persone che assistete.
Noi siamo una parrocchia francescana che in altri termini significa che chiunque può sempre bussare a qualunque orario e mai deve andare via a mani vuote. Grazie a quest’opera continuativa siamo riusciti ad entrare nel tessuto sociale del quartiere e nella vita di coloro che vi abitano. A tal punto che adesso possiamo entrare nelle case degli abitanti ed essere accolti come amici. Ma quasi sempre nasce tutto dalla consegna del sacchetto della spesa.
Come è organizzato?
La distribuzione alimentare è una volta al mese con turni prestabiliti; vengono famiglie anche non residenti nel quartiere. Sono famiglie che magari vanno in altre parrocchie perché la quantità di cibo che forniamo noi non può essere sufficiente per un mese intero. Oltre al Banco alimentare ci sosteniamo con la merce che ci offre gratuitamente qualche supermercato delle vicinanze. Ed in caso di necessità ci rivolgiamo alla Caritas diocesana.
Ci sono comunità di stranieri nel quartiere?
Noi abbiamo rapporti con un certo numero di marocchini che abitano poco distante.
E in quanti siete?
Circa una decina, con vari compiti e responsabilità.
E in questo periodo come siete organizzati?
Come in tutti i mesi dell’anno. Per noi e per loro non cambia nulla. Abbiamo solo iniziative più specifiche per far fare un po’ di vacanze a quanti possono.
Cioè?
Per i bambini abbiamo organizzato a luglio una settimana di vacanza a San Fratello, in provincia di Messina, grazie alla disponibilità dei Gesuiti che lì hanno una casa di ospitalità. Adesso abbiamo organizzato una gita a Castel di Tusa per il prossimo sabato. È aperta a tutti, almeno a quei 110 che sono riusciti a prenotarsi subito. Chiederemo solo un piccolo contributo per il pranzo a sacco e null’altro. Una gita per famiglie per fare il bagno e trascorre insieme un momento di festa. E poi non dimentichiamo che c’è la Fattoria Solidale sempre aperta e sempre in attività. Anche in questo momento vi è un gruppo di studenti romani che è venuto per dare una mano.
L’opportunità non va sprecata. Salutiamo, ringraziamo e ci rechiamo in Fattoria.
Troviamo una ventina di universitari attorno a fra Mauro che illustra la storia e la finalità dell’iniziativa della Fattoria. Sono raccolti attorno alla associazione Spes di Roma, attraverso cui nel corso dell’anno svolgono varie attività, di studio, di volontariato e sportive. Chiediamo il perché del loro viaggio in Sicilia.
Inizia Giacomo. “Sono venuto per lasciarmi stupire – dice subito e senza esitazione – perché non sapevamo bene cosa avremmo trovato e chi avremmo incontrato. Ci siamo messi insieme per fare un’esperienza, abbiamo costruito insieme una ipotesi di lavoro e ci siamo messi in contatto con suor Mariella a Termini Imerese per trovare un punto di appoggio e di giudizio. A Termini abbiamo trovato ospitalità nell’istituto delle suore Cappuccine, dove condividiamo la vita di questa settimana con alcuni ragazzi immigrati che vivono a Termini Imerese e che hanno deciso di vivere insieme a noi questa settimana”.
Chiara studia medicina: “Mi ha mosso il desiderio – aggiunge – di fare una esperienza di convivenza estiva con alcuni amici con cui ci incontriamo nel corso dell’anno a Roma, ma senza poter vivere e conoscerci bene. Ma non una vacanza qualunque, ma decidendo di dare un senso significativo e di incontrare realtà interessanti, come quella in cui ci troviamo”.
Giorgia è al terzo anno di economia. “Presto partirò per l’Erasmus – dice -. Proprio per questo mi sono aggiunta, seppur all’ultimo momento, per fare una esperienza di convivenza significativa con tanti amici che magari non vedrò per sei mesi. In questi giorni è cresciuto il rapporto con quelli che vedo abitualmente a Roma, con i Siciliani che ho conosciuto a marzo quando sono venuti da noi ed è sbocciato quello con questi amici stranieri che non conoscevo e che adesso mi sembra di conoscere da sempre”.
Attraverso l’associazione Spes questi ragazzi svolgono a Roma varie attività nel corso dell’anno e grazie ad una rete di amicizia e conoscenze sono venuti a incontrare l’esperienza di Fra Mauro e della Fattoria solidale. Hanno anche messo in atto piccole esperienze produttive di birra e di sapone, ed abitualmente vanno in luoghi ove c’è bisogno di sbracciarsi le maniche: sono stati ad Amatrice per il terremoto, ad Olbia dopo l’alluvione, in Emilia per il terremoto. Imparano ad amare l’Italia attraverso i luoghi del bisogno oltre che a quelli delle bellezze naturali. Non fanno mistero che non avrebbero immaginato di fare simili incontri venendo in Sicilia. Ed in effetti mentre ci attardiamo a parlare con l’ultimo, sono tutti spariti. Sono sotto il grande tendone del circo. Passeranno la mattinata a pulire e mettere ordine, perché pomeriggio verranno come sempre i bambini del quartiere e non solo loro. Ci raccontano poi della convivenza con i loro coetanei immigrati conosciuti a Termini. Con loro stanno vivendo giorno e notte, cucinando e consumando i pasti insieme, giocando e parlando, andando a mare e in città. “La gente tende a tenerli lontano – ci dicono – ma se vede che stanno con noi, che facciamo insieme il bagno a mare, che li trattiamo da amici, cadono le barriere”.
Giacomo la definisce una scuola di educazione: “Ha più senso – spiega – questa esperienza di tante altre perché imparo a conoscere le differenze; l’integrazione aiuta tutti, noi e loro, a cominciare dall’apprezzare le differenze culinarie. Anche se non posso cambiare la loro condizione, questa esperienza cambia me, perché mi insegna a comportarmi e a pensare in modo diverso in ogni situazione”.
C’è pure Francesco che è palermitano. Ha iniziato da poco a fare il Servizio civile in Fattoria. “Ho 24 anni – aggiunge – devo ancora compiere le scelte decisive della mia vita, ma la esperienza della fattoria mi ha già cambiato. Qui si imparano tante cose che servono nella vita”.