La spinta dei nostri giorni, sotto lo slogan “tutto intorno a te”, è volta all’individualismo la cui difesa passa per la competizione con l’altro e la continua corsa all’affermazione di sé. Non c’è spazio, dunque, per l’accoglienza in quanto ciò comporterebbe il perdere qualcosa e, dunque, l’affrontare dei costi. Sì l’interesse per l’altro ha un costo.
Eppure nell’isolamento competitivo l’uomo è privato della parola, non trova più qualcuno a cui raccontarsi e ciò fino a quando non riconoscerà, forse per la prima volta, il reale bisogno dell’altro.
Troviamo nelle pagine del libro della Genesi, dal capitolo 37 in poi, la storia di un uomo, Giuseppe, che diventa parabola del cammino che porta a riconoscersi fratelli e superare l’individualismo competitivo.
La storia comincia descrivendo Giuseppe amato con particolare predilezione dal padre, ciò gli procura invidia da parte degli altri fratelli che, pertanto, non gli rivolgono la parola. Si legge, man mano nel testo, che loro trameranno parole di morte per eliminare quello che considerano un ostacolo. Infatti interpretano i sogni di Giuseppe come un volersi ergere al di sopra di loro.
Eppure Giuseppe è l’unico a riconoscersi fratello. Lui si mette in cammino per cercarli e quando non li trova va oltre come a non potersi ritirare in pace fino a quando non li avrà incontrati. Quello del fratello è l’atteggiamento proprio di chi non cerca di primeggiare ma fa spazio e sta dietro per incontrare.
Sappiamo dal racconto che loro lo venderanno per eliminarlo dalla loro storia, le condotte di evitamento sono quelle dell’individuo che non ammette rivali o, meglio, percepisce l’altro che gli sta accanto come un rivale!
Ritroveremo Giuseppe a mantenersi fratello anche quando la donna del suo padrone vorrebbe unirsi a lui. Non entra nel compromesso che lo renderebbe grande al punto da avere la percezione di sostituirsi al suo padrone. Ci sono escalation sociali che, attraverso molteplici compromessi, procurano un posto in alto ed è l’esperienza di chi ha portato al punto estremo la propria affermazione sugli altri. Una una volta arrivato lì, ecco che si scopre terribilmente solo!
L’epilogo della storia trova Giuseppe alla corte del faraone quale suo principale consigliere e che vede arrivare i fratelli di un tempo. Lui è rimasto a cercarli e assumendo le conseguenze del loro rifiuto, senza ribellarsi, si è trovato in una nuova condizione di vita. Proprio perciò, ora li vede innanzi e li riconosce. È l’amore che permette di riconoscere l’altro, i fratelli invece non lo riconoscono perchè si sono chiusi all’amore.
A quel punto Giuseppe permette loro di fare un percorso interiore attraverso il quale riconosceranno la sofferenza del padre che ama e si offriranno al posto del fratello, ed è allora che inizieranno a conversare con lui. È l’apertura all’amore che permette la parola con il fratello fino ad allora misconosciuto.
A conclusione troveremo Giuseppe che spiegherà loro di non avere paura perchè Dio conduce la storia al di là delle trame umane e del male che vorrebbe impedire i processi di bene. Una storia, quella di Giuseppe, che ci mostra come la fraternità è frutto di accoglienza e del riconoscersi bisognosi dell’altro e non autosufficienti.
Senza relazione non c’è vita, non c’è storia. Individuo, infatti, non significa separato ma intero e cioè integro nella complessità propria dell’essere umano in cui la dimensione corporea e quella spirituale sono tessute da relazione, trovano la loro piena espressione nel rapporto con l’altro. Se mi aggrappo mi trovo.