Quando l’essere umano passa dalla competizione al bisogno dell’altro può accadere che si sbilanci in un rapporto di appoggio in cui si svende per mantenere l’altro legato a sé o dove l’altro viene oggettificato e trattato come qualcosa da possedere.
È quel che accade quando si idolatra un’altra persona, quando si cerca di fuggire dal quotidiano o di evitare il limite rifugiandosi in un’esperienza di parvente onnipotenza.
L’essere umano è fatto per il legame, nessuno può vivere da solo. Eppure alcuni legami diventano catene e, anziché favorire l’espressione originale della propria vita, la imprigionano fino a spegnerla.
Nella Scrittura troviamo la narrazione di un mito fondativo, l’uomo che si pone di fronte alla propria storia e a Dio cercando di affermare se stesso di fronte a tutti. Siamo al capitolo decimo del libro della Genesi, subito dopo inizierà la storia di Abramo e dei patriarchi.
La vicenda di Babele mostra il dialogo tra gli uomini per innalzare il proprio nome al fine di sostituirsi a Dio. Si convocano per realizzare mattoni, da cuocere e da usare con la malta. Non si tratta della pietra creata dalla mano di Dio, ma del mattone creato dalla mano d’uomo. È l’attività che Israele vivrà poi in terra d’Egitto durante la schivitù.
La roccia era dono di Dio e, proprio per ciò, costituiva la materia su cui erano state incise le tavole della Legge o con cui venivano eretti gli altari. Il mattone, invece, lasciava presagire l’opera dell’uomo, spesso, autoreferenziale.
La decisione di costruire una città con al centro una torre per arrivare al cielo, avere un nome e non disperdersi è quel che accumuna i popoli. L’unità è realizzata attraverso questa mira che poggia sull’ergersi al di sopra di tutti facendo a meno di Dio. È il dramma dell’umanità quando crea legami fondati sulla convenienza ed il potere, una unità apparente e monolitica, senza possibilità di dissonanza. Le dittature di tutti i tempi si sono fondate su questo principio, quando l’uomo non ha lasciato spazio alla diversità, preferendo l’omologazione per avere quieto vivere.
Dio si china e questo confonde, cioè viene meno quella certezza di prima così come quando la crisi dovuta all’inefficacia dei propri idoli fa crollare una persona. Ci sono fallimenti che segnano l’occasione della propria esistenza, l’opportunità per rialzarsi. Per Francesco d’Assisi, ad esempio, la prigionia dopo la sconfitta in battaglia determinò una profonda revisione di vita, senza quella crisi Francesco non avrebbe messo in discussione gli appoggi e le idealizzazioni di un tempo e sarebbe rimasto imbrigliato in un clichè di vita parecchio povero, magari con un elevato status sociale ma povero!
Francesco a quel punto esprimerà la sua originalità e sarà stigmatizzato come “diverso” e per questo deriso. Gli uomini di Babele stavano, piuttosto, cercando l’omologazione per apparire potenti e, così, fuggire dalla propria limitatezza.
L’epilogo è che gli uomini vengo sparsi e questo non per loro punizione ma per salvezza. Rimanere nello stato di prima avrebbe comportato l’implosione ed è solo quando ci si mette in cammino, anche se questo passa per la solitudine, che si può scoprire il proprio nome e valore. Nel capitolo seguente troveremo un nuovo uomo, Abramo che, seppure sterile e senza discendenza, si metterà in cammino lasciandosi guidare dalla promessa di Dio.
La fede aderisce ad una promessa, è legame che non comprende totalmente, non possiede e non può calcolare, può solo affidarsi esprimendo il passo quotidiano.