Dare senso al proprio tempo è una questione assai rilevante per ogni essere umano. L’aforisma “panta rei”, attribuito ad Eraclito di Efeso, nei secoli è stato tradotto con “tutto scorre” ma questa interpretazione rischia di lasciare una sorta di fissità all’uomo che, a quel punto, potrebbe pensare di rimanere comodo vedendo scorrere i propri giorni come su uno schermo.
In realtà, ci rendiamo ben conto, la vita è costantemente in divenire e ciascuno è in cammino, capace di andare in una direzione o in un’altra anche se apparentemente potrebbe percepirsi fermo.
Una sovrastimolazione, oggi, porta molti a vivere il tempo e lo scorrere dei propri giorni in modo ansiogeno con una frenesia di avere ed essere mai appagabile. Questo perchè spinti a consegnare la vita a questa o a quella esperienza, o all’avere qualcosa di sempre nuovo e mai utilizzabile fino in fondo.
Eppure per vivere il tempo è necessario fermarsi, attendere ed ascoltare. È così che troviamo il sapore e la prospettiva di ogni momento, quel gusto che risuona dentro ciascuno quando sta nelle piccole cose di ogni giorno lasciandosi meravigliare o emozionare. Anche se si tratta di esperienze che appartengono al ritmo quodiano, non più percepito come “noiosa routine di tutti i giorni”!
Oggi la nostra Comunità di Danisinni celebra il tempo della propria storia rendendo grazie al Signore per due grandi testimoni di come si abita il tempo. Sant’Agnese di cui ricorre la festa liturgica e padre Liborio a trent’anni dalla sua dipartita al Cielo.
Lei che ha vissuto in pienezza il suo tempo fino ad essere martirizzata ad appena dodici anni. Agnese ci ricorda che la vita non è questione di numero di giorni ma di pienezza e lei, nella sua chiamata cristiana, ha risposto con la consacrazione totale al Signore. È l’amore la risposta alla propria esistenza e lei lo ha vissuto in questa vocazione così particolare, tanto da non accettare altre lusinghe e finanche la costrizione a sposarsi per avere salva la vita.
Padre Liborio che si è speso fino all’ultimo giorno per la Comunità di Danisinni, ci lasciava il 15 gennaio 1988, ha mostrato il cuore fermo e tenero del pastore a cui era stato affidato il piccolo gregge della nostra Parrocchia. Un frate cappuccino che si è speso quotidianamente per orientare il popolo a Cristo, l’unico che può dare speranza e significato all’uomo, sia a chi è provato da gravi indigenze e sia a chi pensa di avere tutto ma, in fondo, rimane vuoto. Lui che, sebbene provato da infermità fisiche, continuò a trovare gusto e senso nel servire i più piccoli. Anche attraverso semplici gesti come le gite parrocchiali, come a ricordare l’entusiamo delle cose da scoprire e condividere attraverso le relazioni con il prossimo.
La Parola che meditiamo oggi, terza domenica del termpo ordinario, nutre questa prospettiva. Dapprima è Giona a rispondere alla chiamata di Dio, dopo varie resistenze e tentativi di fuga. L’uomo che accetta la chiamata si alza e si mette in cammino, attraversa la città ove Dio lo colloca, e annuncia l’attesa di quaranta giorni prima della distruzione.
È il tempo di una generazione, in realtà è il tempo che Dio attende perchè desidera la conversione della creatura. Sorprendentemente il popolo di Ninive lascerà la condotta di prima e si rivolgerà a Dio, perdendo le abitudini di dissolutezza, ove l’uomo non era più tale ma oggetto di piacere e di possesso e, pertanto, regolato dalla prevaricazione e dalla competizione sull’altro. Ninive è l’emblema della terra ove non c’è più il padre, il limite, in cui tutto è possibile.
Giona, profeta di Dio, annuncia che è sempre possibile il cambiamento e cioè intraprendere una strada che non è più di solitudine ma di ascolto e di amicizia con Dio. È lì che il perdere qualcosa significherà investire su una relazione verticale che dà senso ai propri giorni.
Nel Vangelo troviamo la prima chiamata dei discepoli, è significativa la risposta immediata. A qualcuno potrebbe risultare incomprensibile questa urgenza nella sequela ma, in realtà, essa svela la postura necessaria per stare in cammino. Fino a quando si fanno calcoli, misurando le opportunità e credendo di discernere in base alla convenienza, il proprio tempo è come una sorta di prigione che mantiene di fronte a continui dubbi esistenziali.
Certo, la scelta equivale ad una perdita! Così è la fedeltà quotidiana alla propria chiamata, la responsabilità al proprio lavoro senza cadere nella corruzione o nel mero esercizio di un potere, così come il resistere quando la scelta è più faticosa e si vorrebbe mollare tutto per trovare una certa “comodità”. Altrimenti, se così fosse, non avremmo avuto un Giovanni Falcone, un Paolo Borsellino o un Pino Puglisi. Tutti martiri del nostro tempo e della nostra Città che non si sono tirati indietro valutando la convenienza del proprio vivere.
L’aspetto ulteriore a cui ci apre questa pagina del Vangelo è che l’esistenza personale può essere colta come passaggio di Dio, occasione della sua proposta. È falso quel cristianesimo che delega al domani l’assunzione di responsabilità. Ogni momento è l’occasione per l’incontro con Dio e per testimoniarla.
Pensare che don Pino Puglisi, quella sera del 15 settembre del 1993, incontrò Salvatore Grigoli, il suo killer, sorridendogli così come aveva attraversato ogni giorno della sua vita. Oggi Salvatore Grigoli, a seguito di quella testimonianza, ha rinnegato il suo passato di mafioso e ha scoperto il senso vero della sua esistenza, il valore per cui vuole continuare a spendere i suoi giorni.
A ciascuno è data la possibilità dare pienezza alla propria esistenza, l’importante è cogliere da che parte stare.