Come fai a parlare di pace pensando di investire sugli armamenti? È come cercare la luce immergendosi in un pozzo, eppure oggi la parole sono quantomai equivoche perché mistificate per servire i programmi di ideologie disumanizzanti.
Fino a quando la politica perseguirà un pensiero lineare secondo lo schema di causa ed effetto non riusciremo ad innescare processi di umanizzazione e di reale cambiamento.
La Scrittura ci aiuta ad affinare un pensiero altro che descrive la realtà secondo una visione differente, capace di generare bellezza, ma è necessario lasciarsi questionare.
Come fai a contare le stelle? Eppure questo è l’invito che Dio fa ad Abramo per indicargli la discendenza che gli avrebbe donato. Proprio perché impossibile contarle, Dio lo sta orientando ad assumere uno sguardo divergente capace di andare oltre il calcolo per lasciarsi conquistare dal fascino dell’immenso, lì dove porta l’incontro con Dio.
Senza questo passaggio non sarebbe possibile avere conoscenza di sé e dell’altro perché rimarremmo limitati a quanto è già preventivato senza lasciare spazio allo stupore per l’inedito.
La conoscenza, piuttosto, procede per scoperte che destabilizzano quanto già compreso, senza questa docilità al cambiamento sarebbe impossibile il viaggio della vita e ciascuno cercherebbe di rintanarsi in una zona di comfort rimanendo spettatore della storia che scorre.
Abramo, piuttosto, è invitato a mettersi in cammino e questo inizio è sancito da un’alleanza dove è Dio a compromettersi per la Sua creatura.
L’episodio di Genesi 5, 15 – 18, infatti, vede solo Dio passare in mezzo all’offerta e così, come sanciva il patto antico, Lui promette di pagare con il sangue la trasgressione di quel legame. Non permette che Abramo passi in mezzo perché, altrimenti, avrebbe dovuto chiedere conto al popolo per l’infedeltà mostrata lungo tutti i tempi.
La concezione antica prevedeva che la trasgressione si pagasse con il prezzo della propria vita. In modo analogo se Gesù di fronte a Pilato avesse parlato dimostrando la propria innocenza, secondo il diritto romano, l’accusatore e cioè il popolo sarebbe stato condannato al suo posto.
Dio si compromette, dunque, senza alcun ricatto o colpevolizzazione del popolo. Non è il timore la via per accedere al Cielo ma il fascino del volto di Dio che rimane ad amare nonostante tutto. Sostenere questo sguardo mostra il processo di conversione che attraversa ogni cristiano.
La pagina della trasfigurazione (Lc 9, 28.36) che meditiamo oggi svela ulteriormente questo passaggio necessario.
Non si tratta della manifestazione degli dei che apparivano in forma umana così come intendeva l’antica Grecia, qua è l’umano a rivelare il volto di Dio. Bisogna uscire da uno schema percettivo che ammetterebbe solo il contrario ma la novità evangelica è proprio questa: è Dio a nascere nella fattezza umana ed è attraverso questa che si rivela.
Gesù poco prima aveva annunciato che andava incontro alla passione e morte in croce e aveva trovato resistenza nei discepoli che faticavano a credere che la liberazione dall’oppressione potesse passare per quella apparente sconfitta.
Si, la croce appare solo come una sconfitta a chi mantiene un pensiero lineare scandito da causa ed effetto e l’episodio della trasfigurazione rivela un modo differente di guardare la realtà che ci circonda.
“Mentre pregava il suo volto divenne altro”. La preghiera è il luogo dell’incontro perché presuppone un decentrarsi per rivolgersi al Cielo: fino a quando resisteremo pensandoci autosufficienti non ci sarà spazio per accogliere la luce vera.
Il volto di Gesù diventa altro rivelando la bellezza di Dio che mai si può catturare, ci conduce sempre oltre. Entrare in relazione con Lui è l’esperienza del cammino della vita che approfondisce l’immersione nel mistero, più andiamo avanti e più ci rendiamo conto che solo la Luce conta.
È fascino di bellezza questa esperienza, il testo esplicita che i discepoli odono Mosè ed Elia parlare della Sua gloria. Tutta la storia e la profezia convergono nella gloria di Dio che sarà manifestata in pienezza proprio sulla Croce.
Un linguaggio indecifrabile fino a quel momento e, ora, la voce del Padre viene a rivelare il senso dell’amore per il Figlio che viene donato.
Contempla chi entra in questo dialogo d’amore in cui il Figlio svela il Padre e viceversa, in questo rapporto l’umanità tutta viene inclusa perché la missione è portare tutti alla salvezza e cioè condividere il Suo regno.
Comprendiamo, ora, che è la forza dell’amore ad essere manifestata in modo definitivo sulla Croce, lì dove l’umanità è totalmente consegnata al Padre per amore.
Pietro intuitivamente riconosce la bellezza di questa esperienza di cui si sente partecipe. Vorrebbe fermarla, attendarsi, forse facendo riferimento alla festa delle Capanne che ricordava la precarietà del cammino dell’esodo, ma è invitato a custodire il dono rimanendo capace di cammino con una visione rinnovata. Per lui tutto sarà chiaro dopo il mattino di Pasqua, anche Pietro a quel punto sarà tutto dono fino al martirio.
A ciascuno è dato di entrare in questa relazione comunionale ma non è questione di comprensione. Come quando si viene in fattoria a Danisinni e alcuni si fermano a guardare gli agnellini appena nati pensando ai lauti banchetti del periodo pasquale, a questi pare impossibile fare comprendere la magia di quel posto che, se ci si immerge, ti rapisce.