L’uomo contemporaneo vive una profonda scissione, non riesce a coniugare vita e pensiero e ciò perchè parte da una dottrina a cui aderire con comportamenti consoni. Prima che su una mentalità frutto di una scelta di vita, il nostro tempo sembra modellarsi su teorie di convenienza che come le mode passano in base al diktat di turno.
Le correnti politiche rivelano confini labili e i membri di partito passano da uno schieramento all’altro confondendo il pensiero politico con l’opinionismo tra amici. Anche la liquefazione in ambito religioso così come le varie forme di integralismo, denunciano una identità fragile e priva di una adesione esistenziale ad un credo.
Tutto è in divenire e profondamente relativo, così come lo zapping sul web nell’affrontare le questioni sociali ci è data la possibilità di uno sguardo sommario ma privo di sosta per riflettere ed andare oltre la superficie. È anche per questo che il nostro tempo manca di profezia, cioè di uno sguardo che sappia scrutare aldilà delle apparenze e, dunque, capace di una visione d’insieme per leggere la realtà e le conseguenze delle decisioni prese.
Il sistema capitalistico ha fatto credere che la felicità dell’individuo fosse il bene supremo da perseguire anche se questo va a discapito del prossimo. Ha escluso, ad esempio, l’impiego di energie rinnovabili ferendo gravemente il creato e ha voluto l’omologazione dei mercati a svantaggio delle piccole economie locali.
Oggi abbiamo bisogno di profeti ossia di un’umanità che dica “no” a logiche di disuguaglianza ed oppressione opponendosi con una chiara testimonianza di vita e non a parole, magari, con un lessico radical-chic.
La grammatica su cui scrive la propria esistenza il testimone si avvale della negazione ossia della possibilità culturale di discernere una strada piuttosto che un’altra e non perchè ciò sia conveniente per lui ma per il vero bene del genere umano. È la logica che mosse i magistrati Rocco Chinnici e Paolo Borsellino di cui oggi ricordiamo la nascita (19 gennaio 1925 e 19 gennaio 1940) ad andare oltre con le loro investigazioni, malgrado fossero minacciati di morte.
L’avverbio negativo genera cultura ossia possibilità di differenziazione e spirito critico come dovrebbe accadere, tra l’altro, di fronte ai tentativi di uniformazione dell’economia attuale. Rivela che c’è una possibilità differente, una via capace di fare scoprire alternative rispetto al già conosciuto.
In questa domenica il Vangelo (Gv 1, 29-34) ci propone la figura di Giovanni battista che dal deserto indica una via nuova. Ripartire dall’essenziale, di cui il deserto è immagine plastica, è necessario per chi vuole mantenersi in cammino. Senza leggerezza dell’essere ci si imbriglia in una pesantezza d’animo che finisce col schiacciare la vita in un continuo avvitamento di ragioni, ansie e preoccupazioni. Il profeta va all’essenziale, tutto il resto non conta.
La sobrietà, dunque, permette di recuperare una visione d’insieme e cioè di guarire dalla frammentazione che fa di ciascuno un individuo magari capace di fare una donazione all’indirizzo appena letto in tv per una causa umanitaria nei paesi in via di sviluppo e, subito dopo, rimanere indifferente se un anziano che gli sta accanto non riesce ad attraversare la strada a motivo della velocità delle auto.
Tale sguardo fa uscire la persona da quella schizofrenia che vorrebbe coniugare la corruzione nel proprio lavoro con le “buone azioni” di un momento, l’apparenza perbenista in società e la rozzezza dei costumi in casa, la fede in Gesù Cristo e l’indifferenza verso le ingiustizie sociali dei contesti in cui vive. Ed è pertanto che Giovanni non parla di sé, lui dice quel che non è: non è il Messia e non è la Parola ma solo la voce.
È importante questa puntualizzazione perchè sarebbe stata facile la confusione di fronte ad un’aspettativa messianica che avrebbe voluto un liberatore giustiziere, a condurre la battaglia contro i romani o gli oppressori di ogni epoca. Piuttosto, lui rimanda all’ “agnello di Dio che porta il peccato del mondo”, cioè ad un mite che si fa carico del dramma esistenziale dell’umanità. Il “portare” di Gesù indica una relazione quotidiana che Lui sostiene facendosi carico delle ferite umane. L’amore per il Messia è la medicina per guarire ciascuno, non ricorre alla pretesa imperativa di cambiamento ma si dona per trasformare la vita altrui.
Giovanni ci salva da ogni possibile proiezione su Dio frutto della personale brama di rivincita o di giustizialismo. L’essere umano senza questa precisazione sarebbe rimasto artefice della deriva di se stesso.
Il discepolo è tale perchè segue la volontà del Maestro e ciò non in termini di sudditanza ma di fiducia e nutrimento. La solitudine egocentrica al contrario svuota, invece lo stare in relazione permette la dinamica della consegna e dell’accoglienza. La Parola ascoltata, così, alimenta il cammino verso la meta.
Paradossalmente il Maestro si è fatto servo di tutti per caricarsi di tutto, e a ciascuno è dato di lasciarsi amare per cominciare il cammino. Triste sarebbe l’esperienza di chi seppure amato continuasse a vivere di pretese rimanendo chino su se stesso.
Il discepolo mettendosi in cammino non può che divenire testimone di quel che ha ricevuto e, per gratitudine, donarsi a sua volta. La promessa da parte di Gesù non è riferita al quieto vivere del momento ma ad un invio come di “agnelli in mezzo ai lupi” certi della Sua presenza.
Il criterio di discernimento, allora, cambia e non è in base alla tranquillità o all’assenza di problemi. La missione del discepolo è simile all’inquietudine di chi sta in battaglia ma è differente la causa per la quale ci si spende e sono diversi i mezzi per realizzarla.
Ci rendiamo conto che fino a quando avremo vinti e vincitori non ci sarà alcun processo di umanizzazione e la pace propinata sarà solo una tregua fra due guerre. Fino a quando l’individuo giocherà ad essere “giusto” di fronte all’altro non ci sarà spazio per autentica profezia ma solo vacuità dell’essere. Fino a quando l’essere umano rimarrà a cercare la luce partendo da sé, sperimenterà il buio e la vita si ridurrà ad una mera passione triste.
Ben altra è la Luce che ci viene rivelata!